Malattia renale cronica: indispensabile creare una rete nazionale di centri

E’ considerata un problema di salute pubblica di primaria importanza. Riguarda in Italia il 7,5% degli uomini e il 6,5% delle donne, per un totale di più di 5 milioni di persone. Oltre a essere associata ad elevati costi sanitari e sociali – per trattare questa patologia si utilizza infatti oltre l’1,5% del fondo del Servizio sanitario nazionale – risulta strettamente connessa allo sviluppo di diverse complicanze specifiche – anche in considerazione dell’allungamento dell’aspettativa di vita – e all’aumento del rischio di malattie cardiovascolari: la maggior parte dei pazienti muore infatti per eventi correlati a queste patologie. E’ la malattia renale cronica, una patologia tanto importante quanto, finora, malgestita: fino ad oggi infatti in Italia, spiega Antonio Santoro, presidente della Società italiana di nefrologia (Sin) e Direttore dell’Unità Operativa di Nefrologia, Dialisi e Ipertensione del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna, non c’è stata una adeguata presa in carico dei pazienti.

 

“Il mancato coordinamento e razionalizzazione delle risorse del Servizio Sanitario Regionale in ambito Nefrologico ha avuto come conseguenza sovrapposizioni, differenze di offerte terapeutiche e di costi tra diverse ASL, ma anche l’incremento della attività di centri di dialisi privati che si limitano ai trattamenti dialitici di pazienti non complicati – spiega Santoro -. In questo quadro alcuni centri ospedalieri hanno penalizzato ambiti specifici della nefrologia limitando la presa in carico globale del paziente nefropatico con una conseguente riduzione della qualità assistenziale, ritardo di diagnosi, impossibilità di un tempestivo utilizzo delle terapie, progressione incontrastata del danno renale e aumento delle comorbidità. Questo ha fatto sì che in molte regioni un maggior numero di pazienti ha raggiunto lo stadio finale dell’insufficienza renale con necessità di terapie sostitutive come la dialisi ed il trapianto”.

 

La soluzione a questi problemi, spiega Santoro, potrebbe venire dalla realizzazione di un sistema a rete su base nazionale ed articolazione regionale: “Il punto di forza di questo modello è il fatto che tutti i centri, anche quelli non in grado di fornire prestazioni di terzo livello (biopsia renale, accessi vascolari difficili, ecc.), sono collegati con una rete funzionale che vede come aspetto di centralità il paziente e le sue problematiche nefrologiche. Una rete capace di garantire l’uniformità delle prestazioni attraverso l’implementazione di percorsi condivisi per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie renali”.